Nella mia prima testimonianza sul Movimento ho raccontato di una canzone che mi ha provocato dei traumi infantili. Si intitolava “Ho trovato un tesoro”, e mi sembrava così strana, nel contenuto, da pensare che fosse stata composta ai primi tempi del Movimento, quando la gente era arcaica e stava nelle foto in bianco e nero. Ho, scoperto, invece, che questa canzone è registrata con il nome di due autori, Beni Enderle per la musica e Mario De Siati per le parole, quindi siamo almeno alla metà degli anni Sessanta.
Beni e Mario sono due focolarini del Gen Rosso, che mi hanno sempre dato l’aria di essere bravissime persone, buone come il pane, figuratevi se volevano far piangere le bambine. In più Mario interpretava la canzone in modo struggente, anche se a me sembrava che il suo stile fosse un po’ “da liscio”, forse perché erano i tempi di Claudio Villa. Insomma, Beni e Mario hanno scelto di seguire la strada del Focolare da giovani, quindi, se cantano la loro storia, hanno tutto il diritto di affermare “Ciò che avevo era niente/come niente è passato/ho lasciato ogni cosa che non parlava di Te.”
Il problema è che la loro canzone ha viaggiato in ogni dove, uscendo dal suo contesto originale, è stata cantata da gruppi, non solo del Movimento, ma anche parrocchiali. Ho trovato, in Youtube, un utente che sosteneva di averla sentita interpretare da un coro di bambine (!). Il problema, come scrivevo, è quando a cantare parole simili è un genitore, soprattutto se lo fa davanti ai figli.
Ma c’è una canzone che, invece, a me piaceva molto, e credo di avere capito solo ora perché. Direi che, se “Ho trovato un tesoro” è la canzone ideale del genitore Foc, questa potrebbe essere la canzone del tipico figlio, nato da una famiglia in cui “si vive l’Ideale” a tempo pieno. Si intitola “Nascerà”, appartiene all’album Inspiration del Gen Rosso del 1989, e credo che il testo sia stato composto da Mite Balduzzi.
Riporto in modo integrale il testo, e poi lo vorrei commentare.
Non c'è stato mai nessuno
In fondo alla mia vita, come te.
È con te la mia partita
Come sabbia fra le dita
Scorrono i miei giorni insieme a te
Inquietudine, o malinconia
Non c'è posto per loro in casa mia
Sempre nuovo è il tuo modo di
Inventare il gioco del tempo per me
Nascerà dentro me Sul silenzio che abita qui
Fiorirà un canto che
Mai nessuno ha cantato per te.
Se la strada si fa dura
Come posso aver paura?
Nel buio della notte ci sei tu
Se mi assale la fatica
Di cancellare la sconfitta
Dietro ogni ferita sei ancora tu
È una cosa che non mi spiego mai
Cosa ho fatto perché tu scegliessi me?
Cosa mai dirò quando mi vedrai
Quando dai confini del mondo verrai?
Nascerà dentro me
Sul silenzio che abita qui
Fiorirà un canto che
Mai nessuno ha cantato per te .
Mi ricordo che, quando veniva eseguita ai concerti del Gen Rosso, c’erano delle coppiette che speravano fosse giunta finalmente la ballata d’amore, sulla quale pomiciare un pochettino… E invece no! “Come Te”, come al solito, è riferito a Lui, il Dio di Chiara, il famoso Sposo, a cui lei si rivolge sempre non come se fosse non un principio metafisico, ma un vero e proprio Uomo invisibile. Faccio notare la solita mancanza di evoluzione: così come il popo rimane sempre un bambino, lo Sposo celeste non diventa mai un Marito, neanche dopo settant’anni di Movimento, cioè uno con cui ormai ci si conosce da tempo, con cui ci si trascorrono alti e bassi, allontanamenti e riavvicinamenti, nella normalità della vita quotidiana… No: è sempre uno Sposo, come il primo giorno, sono sempre lì a celebrare le nozze mistiche, un affare da cui i ragazzini devono tenersi fuori, perché non è certo adatto alla loro età.
Siamo in una “santità collettiva”, e così i genitori Foc sono fuori casa, a festeggiare queste perenni Nozze di Cana, mentre il figlio se ne rimane solo, magari a badare ai fratelli più piccoli.
“Non c’è stato mai nessuno, in fondo alla mia vita, come Te”: vale anche per il figlio, nel senso che, alla fin fine, quei due, i loro amici, Chiara e tutto il popolo, vogliono essere “la sua famiglia”, ma non lo sono. “È con Te la mia partita”: bisogna fare i conti con Lui, non c’è niente da fare. “In fondo alla mia vita”: che senso ha, la vita focolarina? Se c’è qualcuno che se lo chiede sempre, quello è proprio il figlio, la risposta si trova “in fondo” non nel senso che è profonda, ma che bisogna veramente spostare la confusione, seguire il filo di questa “sabbia tra le dita”, per arrivare alla fine, al fondo della storia. “Inquietudine o malinconia, non c’è posto per loro in casa mia”: questi versi dovrebbero avere un significato positivo, invece registrano una realtà piuttosto pesante. Per una ragazza, un ragazzo, la famiglia focolarina può essere un posto caotico, dove i giorni scorrono senza riuscire a venirne a capo, senza un ritmo, e soprattutto senza lo spazio per rielaborare le emozioni. Il diritto all’inquietudine, il gusto sottile della malinconia: non c’è posto! I genitori ti vogliono “su”, ti vogliono performante come sono abituati ad esserlo sempre loro, vorrebbero addirittura insegnarti a non riflettere. Un ragazzo Foc. può chiudersi in camera sua ad ascoltare la musica? Ma certamente; scommetto che dopo qualche minuto entrerà qualcuno a farlo sentire in colpa, oppure si sentirà in colpa lui stesso.
“Se la strada si fa dura… Se mi assale la fatica di cancellare una sconfitta, dietro ogni ferita ci sei ancora Tu.” Finalmente in questa canzone c’è spazio per un po’ di orgoglio, cosa rarissima nel repertorio: “cancellare una sconfitta”, perché un ragazzo, giustamente, vorrebbe essere vincente. “Come posso aver paura? Nel buio della notte ci sei Tu”: vi ricordate quando eravate piccoli? Avevate per caso paura del buio? Invece di mamma e papà, arriva "Gesù": “Cosa c’è? Hai paura? Dai, rimettiti a dormire…” Loro sono ad un incontro, oppure ci sono, ma va così ugualmente.
Gesù, alla fin fine, è una presenza costante nella vita del ragazzo, non perché lo abbia scelto, a differenza dei genitori; non è un padre, non è una madre, non è nemmeno un amico: è… Come un nuovo fidanzato/a di un genitore... Uno che ti ritrovi per casa, anche lui un po’ spaesato, ma che alla fin fine si prende cura di te, magari anche più dei genitori biologici.
“E’ una cosa che non mi spiego mai: COS’HO FATTO PERCHE’ TU SCEGLIESSI ME??”
Se lo chiede il figlio di due genitori Foc., ma mi sa che se lo chiede persino Gesù: “Cos’ho fatto perché questi focolarini mi “scegliessero”, nelle forme varie che pretendono loro (In mezzo, Abbandonato...)?” Di solito è Lui che “chiama” la gente, anche perché forse è un po’ più assennato degli umani. Ma nel mondo dei Foc., tutto procede alla rovescia, o quasi.
Il finale della canzone mi piace molto perché contiene del mistero, delle domande aperte. Nel pensiero di Chiara non c’è mai mistero, e infatti questa è la versione più elevata di una sua meditazione, nella quale lei scrive, al contrario, che si presenterà a Gesù, e gli dirà “Sono grazie” al posto del proprio nome. Ha già deciso tutto quello che vuole fare e, per incominciare, elimina il nome, cioè il distintivo della personalità dell’individuo. Qui invece abbiamo l’incognita:
“Cosa mai dirò, quando MI VEDRAI, quando dai confini del mondo verrai? Nascerà, dentro me, sul silenzio che abita qui, fiorirà un canto che mai nessuno ha cantato per Te.”
Bellissima l’idea che sia Gesù ad arrivare e a vedere noi, non viceversa. “Quando mi vedrai”: come quando due genitori hanno appena avuto un figlio, e finalmente, dopo le immagini delle ecografie, vedono che faccia ha. Anche GA ha generato dei figli che non aveva pianificato, degli intrusi nella storia, che pure hanno anche loro qualcosa da dirgli. “Un canto che mai nessuno ha cantato per Te”: eh, Gesù è abituato ad essere lodato e riverito, in questo caso forse i figli dei Foc hanno da “cantargliele” di un po’ diverse… Ma naturalmente rimane il mistero, si intuisce, anche dalla musica molto serena, che l’incontro potrà finire bene, con Lui. È a Chiara e a quelli dell’Opera che verrebbe voglia di cantarle, come mai nessuno ha fatto.
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