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UNO SOLO È
IL MAESTRO
Qualche estratto del discorso tenuto dal
Chiara Lubich al Congresso "Famiglia-Educazione", Castel Gandolfo, 2
maggio 1987
Gesù mette in pratica quanto poi
chiede agli altri. Guardando a lui si può dedurre che il primo modo d'educare
anche per i genitori, non deve essere impegnarsi ad istruire o correggere, ma a
vivere con totalità la propria vita cristiana. I genitori devono mettere in
pratica essi stessi quanto poi chiedono ai figli. Domandano sincerità, impegno,
lealtà, obbedienza, carità verso i fratelli, castità, pazienza, perdono? Che i
figli possano costatare tutte queste qualità prima di tutto in loro. Nella
madre e nel padre i figli devono trovare sempre dei modelli indiscutibili cui
possano riferirsi. (…)
I genitori, che già naturalmente si prodigano per i loro
figli, molto di più potranno fare, e soprattutto molto meglio, se
innesteranno sul loro amore l'amore soprannaturale: se ameranno con la carità
di Dio, la carità di chi ama per primo, senza aspettarsi nulla. È un amore questo che non lascia
mai indifferenti. (…)
Non si devono mai imporre le
proprie idee, ma offrirle con amore, come espressione d'amore. I figli sono
prima di tutto figli di Dio e non nostri. Non vanno trattati quindi come
proprio possesso, ma come persone a noi affidate. (…)
Imitare, dunque, Gesù. Imitarlo come maestro. Imitare Gesù, o meglio ancora: lasciarlo vivere in noi. Sì, l'ottimo sarebbe che lui stesso prendesse posto in noi. Se egli vivrà nelle nostre persone il nostro comportamento d'educatori sarà ineccepibile. Se egli sarà introdotto come educatore nella nostra famiglia, avremo adempiuto perfettamente il nostro compito.
Torniamo sempre a Chiara, perché sappiamo bene che è suo il “pensiero unico” all’interno del Movimento. Ho scelto questi stralci, ma si può reperire facilmente in rete la versione integrale del discorso. E mi sono chiesta: ma non c'è qualcosa di strano, in questo concetto dell'educazione? Ho provato a segnarmi alcuni punti.
- C'è una rigida distinzione di ruoli: uno è l'educatore, l'altro il discepolo. L’educazione non funziona veramente così, la risposta dell'educato è importante, anche lui, in realtà, insegna qualcosa all'educatore.
Si intravvede, qui, il problema gerarchico del Movimento, per cui il “Padre”
pretende obbedienza assoluta dal “Figlio”.
-
Che modello di maestro è Gesù? Non era un padre,
era un “maestro” nel senso di “rabbì”, ovvero esperto delle Scritture. E infatti Chiara utilizza il termine "discepolo" al posto di "figlio" … Insomma, Gesù era un “guru”, un “leader” di comunità;
Chiara sta, inconsciamente, proponendo se stessa.
- Gesù dice “Uno solo è il maestro e voi siete tutti FRATELLI”, come se il genitore, davanti a Gesù, fosse allo stesso livello del figlio; questo può essere un punto molto problematico. Il genitore Foc. è un’autorità indebolita in partenza.
- Chiara non vuole che i genitori vivano i figli come una loro proprietà, e fa bene, dato che questo è tipico della cultura patriarcale, che caratterizza la società italiana “familista”. Però la paternità non può essere ridotta ad un semplice "servizio": è persino crudele, il genitore non deve avanzare troppe pretese sul "suo" figlio, sta solo prestando un servizio... Sta facendo le veci di Dio, come se Dio potesse anche, da un momento all'altro, sostituirlo, come si fa con i focolarini che sono assegnati ad un altro focolare.
-
L’educazione deve avvenire soprattutto per imitazione
dell’”esempio” del genitore. Giustissimo, coerenza innanzitutto, però i ragazzi
non funzionano solamente così. Anche i bambini piccoli vogliono
ricevere spiegazioni del perché ci si deve comportare in un certo modo,
incominciano a discutere ben prima di entrare nell’adolescenza. Non si
accontentano di semplici slogan, come certi popi. Figuratevi, poi, che
peso avverte il genitore “di servizio”, quando sente che deve essere un “modello
indiscutibile”: scattano già le solite manie di perfezione che divorano la
gente del Movimento. E i figli, naturalmente, fiuteranno la cosa e si
metteranno subito a contestare questo indiscutibile modello.
- Chiara considera "qualità" dei traguardi faticosi come la castità, la pazienza, il perdono, come a dire che i figli devono averli già innati, e i genitori pretenderli. Finché abiti a casa mia, devi essere casto, perché io sono casto... Ma che significa? E' il figlio che, nel suo processo di crescita, potrà arrivare da solo a compiere certi passi, con la guida dei genitori, che però non possono entrare nell'intimità della sua scelta.
-
L’obiettivo dell’educazione non è formare “una
persona”, ma formare “un cristiano”. Se il figlio non vuole essere
cristiano, ma pagano, agnostico, ateo? L’educazione è fallita?
-
L’amore dei genitori è inteso da Chiara come un “si
prodigano per i figli”: inconcepibile una dimensione non dico
egoistica, ma neanche edonistica dell’amore, della serie: contemplo mio figlio,
me lo godo, gioco con lui perché mi diverto anch’io… Attaccamenti!
-
Chi ama per primo, senza aspettarsi nulla, non
lascia mai indifferenti. E invece no; il love bombing non attacca con i figli: perché non ti aspetti nulla da me? Che
razza di amore è questo, così “puro”, tu ci tieni a me, sì o no? Se il mio genitore non si aspetta nulla, posso anche comportarmi male, oppure, se anche gli porto la classica pagella piena di 10, per lui farà lo stesso.
- Le idee non vanno imposte, ma offerte con amore. Le idee intese come opinioni, quando si tiene una pacata conversazione... Ma i genitori devono assolutamente saper "imporsi", ovvero dare dei contenimenti chiari e netti, quando parliamo di regole di vita.
-
I figli sono “figli di Dio e non nostri”. Vanno
trattati come persone “affidate”. E certo, questa è la famosa sentenza di Gibran
“I vostri figli non sono figli vostri”; solo che Gibran intendeva dire che “sono
figli di se stessi”, nel senso di persone distinte dai genitori, mentre qui
Chiara li vincola a Dio, quindi ad una figura paterna ancora più autoritaria
(lo potete mettere in discussione Dio, voi, anche se è infinito amore?). Con l’aggravante
che, nel gergo del Movimento, il termine “affidato” si usa per indicare una
persona che il responsabile assegna ad un sottoposto, perché la segua e le trasmetta l’Ideale. Quand’ero gen, avevo “affidate” delle ragazze, qualcuno aveva affidato “un dialogo”, “un gruppo di famiglie”,
“un’inondazione”… Vi sembra che il livello di coinvolgimento possa essere lo
stesso, quando si ha un figlio?
"Signori…. Vostro figlio ha dato fuoco alla palestra.”
“Eh, signor preside, che cosa ci vuole fare, noi abbiamo provato ad offrirgli la verità con amore, ma lui non l'ha accolta…”
“Dovete educarlo con chiarezza, insegnategli i fondamenti della convivenza civile!”
“Certo, ma vede, non si deve educare facendo discorsi, ma fornendo l’esempio… Noi testimoniamo con la nostra vita… E poi questi figli, sono figli di Dio, chi può sapere mai come vengono fuori? Deve realizzarsi il progetto che Lui ha su di loro… Anzi, sa cosa le diciamo? Adesso andiamo in chiesa e chiediamo a Gesù che risolva lui questa situazione!”
Vanno in chiesa sul serio, oppure tornano a casa e mollano al figlio due “pappine” più o meno virtuali, come tutti i genitori comuni mortali che si rispettino? Il problema è che, nel caso delle pappine, almeno si chiederanno "Abbiamo fatto bene?" Nel caso dell' "affidamento a Gesù" in chiesa, sul modello dei vari "patti" che stipulano i focolarini, metterlo in discussione sarebbe quasi blasfemo. Saranno di nuovo sereni come bambini, "popi", fino alla prossima disavventura.
Adesso voglio iniziare a fare una lista: se qualcuno ha dei suggerimenti, può scrivere nei commenti.
Per esempio:
- Genitore che fatica ad affermare la propria autorità, perché è abituato a sentirsi "figlio" e non "padre".
- Genitore che non è in grado di motivare con parole convincenti il suo "esempio", perché non sa discutere.
Continua!
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