L'incontro

Se hai fatto parte di qualche gruppo del Movimento, capirai questa copertina 



Una persona attende con pazienza che un gruppo di ragazzi o adulti smetta di chiacchierare e di scambiarsi le ultime notizie; vuole apparire allegra, rilassata nel conversare del più e del meno, ma in realtà ha l'ansia di venire al dunque,  ovvero infilare una cassetta nel registratore, o una VHS nel videolettore, per dare il vero inizio "all'incontro". E' il tema di Chiara, la meditazione: ennesima puntata di un programma di formazione interminabile, che dura tutta la vita, un vero e proprio corso dottrinale per i membri "interni" dell'Opera, che si ripete con una cadenza settimanale o quindicinale, mentre per gli altri, i cosiddetti "aderenti", può avere ritmi più distesi. Il programma dell'incontro è deciso gerarchicamente dall'alto, non concordato con i partecipanti; al massimo sanno che è in linea con il programma dell'anno, quello che Chiara, o qualcun altro per lei, ha stabilito, e che è stato annunciato in qualche grande convegno, come ad esempio "Opera una" (ogni tipologia d'incontro ha il suo nome in codice). 

Secondo un copione prescritto, che tutti imparano a memoria, alla meditazione segue la comunione, ovvero la richiesta a tutti i partecipanti di prendere la parola ed esprimere quanto provano in cuor loro (comunione d'anima), o di raccontare come hanno messo in pratica le parole del Vangelo durante la settimana (comunione delle esperienze); segue quindi l'aggiornamento sulle notizie del Movimento, le indicazioni sulle attività pratiche da svolgere e gli appuntamenti futuri. Poi il gruppo sarà libero di congedarsi come preferisce. Il momento più interessante, forse, è quello della comunione: ne parlo sulla base delle mie esperienze, quindi attingendo al mondo giovanile. 

Se i gen sono molto piccoli, gen4 o gen3, il momento della comunione può essere molto sgradevole, una pretesa di violare la sfera della loro intimità che ad alcuni costa molto. Naturalmente, a quell'età (5-12 anni) l'assistente spingerà perché il bambino racconti solo le esperienze di quando "ha amato Gesù", senza addentrarsi nelle complessità della comunione d'anima. C'è quella bambina che non vuole proprio saperne di parlare, perché è timida, o perché le sembra di non fatto nessuna esperienza, mentre le altre fanno a gara ad alzare la mano; evidentemente loro sì che amano Gesù, a differenza sua. "Non vuoi parlare? Non importa" dirà l'assistente, figuriamoci se qualcuno viene forzato; verrà saltata per passare ad un'altra ma, lungo andare, inizierà a capire che questo la svaluta agli occhi del gruppo e, probabilmente, soprattutto a quelli dell'assistente. E allora ecco che noi ci tutelavamo: avevamo in serbo una o due esperienze che tiravamo sempre fuori, perché stavano bene con tutto, del genere "Ho aiutato la mamma" a fare qualche lavoro domestico, oppure  "ho litigato con il fratellino, ma poi abbiamo fatto la pace". C'era una bambina che stava antipatica a tutte perché rubava sempre le esperienze: faceva in modo di parlare per ultima, ascoltava le prime e riarrangiava le loro stesse storie, cambiando i particolari. Non ci giudicate, avevamo i nostri canovacci! 
Ricordo anche che, ogni tanto, ci veniva una gran voglia di raccontarci le "anti esperienze"; come quando una mia amica mi confidò, con estrema soddisfazione: "Sai quella volta che ho detto che ho perdonato un mio compagno che mi prendeva in giro? Non è vero niente, gli ho dato uno spintone e l'ho buttato per terra!" Controllai che nessuno ci stesse sentendo; ci sentiva Gesù, purtroppo, eravamo spacciate come gen, però ne era valsa la pena. 

gen più grandi, invece, non hanno remore a confidarsi, essendo ormai rodati nel rapporto tra loro, però vorrebbero usare il momento della comunione per "comunicare", appunto, ovvero parlare di sé e confrontarsi su cose personali e concrete. Ma la persona che ha infilato la casetta nel mangianastri, che è chiamata "assistente", deve monitorare i discorsi e cercare di ricondurli "su un piano spirituale", pretendendo la comunione d'anima e la comunione delle esperienze. I ragazzi fanno una macedonia delle due, sebbene sia stata loro spiegata la differenza, e finiscono per trasformare la comunione d'anima in uno sfogatoio; qui subentra la personalità dell'assistente: dipende da quanto è ligio ai precetti di Chiara, e quindi interviene ad imbrigliarli o, invece, tollerante e comprensivo. L'assistente, a sua volta, darà un indirizzo alla comunione, si confiderà per primo per intavolare il discorso, ma sarà chiaro a tutti che non è quella la sua vera comunione d'anima: il "suo" incontro si svolge in un altro momento e con altre persone, in un gioco di scatole cinesi in cui ognuno si rifà ad un livello gerarchico superiore, a diversi gradi di esoterismo.

Sì, è importante comunicare l’anima, ci mancherebbe che non si facesse, ma guardate che non è che Gesù in mezzo nasce dalla comunione d’anima. La comunione d’anima si può fare perché c’è Gesù in mezzo, altrimenti diventa più che altro una cosa che può essere conflittuale, difficile, ecc… Perché io così, tu colà, ecc. Non so se vi sembro eccessivo, ma io vi dico quello che penso di Chiara, avendo vissuto accanto a lei per parecchio tempo… (Discorso di Peppuccio Zanghì ad un convegno)

Ricordo di avere sentito Peppuccio dichiarare con orgoglio di essere contrario al concetto di “confronto”: la parola confronto, spiegava, deriva da frons, ad indicare che due si pongono “fronte contro fronte” e cozzano, come stambecchi. Lui e Chiara avevano risolto il problema del conflitto evitando il dualismo, attraverso le “dinamiche trinitarie”, che permettono di triangolare, bypassando qualunque forma di confronto, anche a livello di discussione. In questo intervento, addirittura, arriva a respingere anche la “comunione d’anima” intesa come autonarrazione, persino se è il racconto di vicende interiori; è una perdita di tempo, e soprattutto solleva una pluralità di punti di vista (“io così, tu colà”). Ci dev’essere solo “la sua presenza” (di Gesù… O di Chiara?), ed il momento dell’incontro non è un reale incontro, ovvero l’unità non viene costruita per gradi attraverso il discernimento, con progressivi tentativi e possibilità di allontanarsi e riavvicinarsi, ma piove dal cielo, quando tutte le individualità sono state soppresse; prima ci si annulla tutti, e poi c’è il permesso di esprimersi.

Un gruppo del Movimento può avere, al contrario, una funzione positiva di “gruppo d’ascolto”, come momento dello sfogo, della richiesta di consigli, della narrazione di sé anche fine a se stessa, soprattutto se il resto del tempo, nella vita di un membro dell’Opera, è dedicato all'attivismo stressante e frenetico. Non è detto che si trasformi per forza nel gruppo stile Alcolisti anonimi, dove tutti vanno a farsi curare dagli altri. Immagino quale inferno possa diventare la vita dentro un focolare, se chi ha l’autorità prende la piega integralista di Peppuccio. E lui assicura di essere arrivato a questo integralismo frequentando Chiara per molto tempo, ovvero lei era così. 

Ma in pratica cosa diventa, l'incontro? Usando un linguaggio settario, è il momento della "riprogrammazione" dei cervelli degli adepti, che devono essere di nuovo sintonizzati sull'atmosfera del gruppo, per riportarla poi all'esterno. Nel mondo esterno, durante la settimana, l'adepto dovrà dedicarsi soprattutto al proselitismo, ma potrebbe essere lui a cedere ai condizionamenti, quindi l'incontro serve a "ridare la carica" (un termine che le persone del Movimento usano sul serio). La "carica" è l'entusiasmo, l'esaltazione, la convinzione che tutto sia giusto e che non ci sia spazio per il dubbio. 

A volte basta poco: sei seduto in cerchio ad un incontro, qualcuno rovina il bel clima iniziando ad accennare, timidamente, allo scontento della sua vita, e magari apre uno spiraglio… Ci sono abusi nella sua famiglia? Ha dei problemi personali molto seri che non confida a nessuno? Il gruppo lo livella subito, con quel tono da “Cosa ci vuoi fare? Abbracciamo Gesù abbandonato in quella situazione e non pensiamoci più, non giudicare …” Allora il malcapitato tace, ritira la confidenza che si era lasciato sfuggire, e si torna a parlare di cose belle. Ci sarà qualcuno che capta un segnale di pericolo e prova a riprendere il discorso, magari a tu per tu? Non lo so, richiede una formazione umana che molte persone del Movimento non hanno. Di sicuro esula dalla riprogrammazione, ma chissà; anche un incontro può salvare una vita, se contiene un momento di incontro vero. 




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