"Non è vero, professore!" Parte seconda

 


Quando, in una comunità dei Focolari, i ragazzi hanno strane pretese, tipo studiare sul serio

Tutti i sabati ho lezione di nuoto nel pomeriggio. Questa settimana, però, avevo deciso di non andarci perché c'era un incontro gen molto importante ed io, anche se il nuoto mi piace molto, voglio imparare prima di tutto ad amare Gesù con tutto il cuore. Per questo sono andato all'incontro. Tornando a casa seppi che proprio quel giorno la piscina si chiudeva per un mese a causa di alcune riparazioni e che avrei potuto recuperare a giugno le lezioni perse. Mi sembrava proprio il centuplo che Gesù mi mandava.

Ho scelto apposta questa esperienza come ouverture per farvi ridere: ha talmente imparato ad amare Gesù, il nostro gen, che è felice perché la piscina chiude per un mese, lasciando a secco tutti quelli che la frequentano... Ma lui ha ricevuto un premio per essere andato all'incontro! 

Ma torniamo a parlare dei gen a scuola: avanzo una mia teoria. C'è un "prima EdC" ed un "dopo EdC", nel percepire studio all'interno del Movimento dei Focolari. 
La questione non è così leggera come può apparire: in un movimento settario, il diritto allo studio dei minori può non essere garantito, perché gli adulti non ne percepiscono l'importanza. Nel caso dei genitori focolarini, ho sempre pensato che di una cosa dovevamo essere loro grati: ci mandavano nella scuola pubblica, o, al massimo, nelle cattoliche paritarie, ovvero con un programma riconosciuto dallo Stato civile. Come mai il Movimento non ha mai pensato di fondare delle "scuole focolarine", come ha fatto, ad esempio, Comunione e Liberazione, che investe moltissimo sull'insegnamento? Pensandoci bene, ho capito perché: la nostra "scuola focolarina" era il movimento gen4 e gen3, è lì che gli adulti ci tenevano il corso per plasmare le nostre menti. Esporci anche agli insegnamenti del mondo esterno non era un problema, in quanto erano convinti che agli incontri imparassimo ad "essere Gesù", e che gli insegnamenti della scuola fossero un sovrappiù, dai quali ci saremmo difesi in qualche modo, dicendo: "Non è vero, professore!" Oppure pensandolo dentro di noi, con atteggiamento distaccato. E invece è stato proprio il contrario. La scuola ci ha salvati, perché ci forniva la più grande alternativa al mondo del Movimento. Avevamo un luogo in cui scoprire che esistevano altri punti di vista. O meglio, sapevamo che esistevano altri punti di vista, ma a scuola si poteva scoprire che FUNZIONAVANO PER VIVERE. 

Prima dell'EdC: negli esordi mitologici del Movimento Gen lo studio era una forza avversa, che sottraeva preziose energie alle attività di apostolato ed autoesaltazione. Tra i più grandi nemici dello studio c'erano gli assistenti gen, che invitavano sempre a "mettere Dio al primo posto", e quindi ad andare all'incontro invece di passare il pomeriggio a studiare. Bisogna sapere, infatti, che gli esami e le verifiche hanno la pessima abitudine di presentarsi senza seguire il calendario dell'Opera, ed il gen viene sottratto, per inutili ore di ripasso chiuso in casa, nell'egoismo della sua cameretta, ad attività imprescindibili come riempire pullman di adepti, lavorare per creare meeting, presentare sul palco di un incontro con una bella cartellina... Non parliamo poi dei congressi: ai tempi d'oro ce n'erano almeno due a cui bisognava assolutamente partecipare, uno locale e uno internazionale, a Castelgandolfo, con annessa quota da versare. Insomma, se "Non è vero, professore!" andava bene per i gen 3, l'esperienza perfetta per i gen 2 era questa:

Avevo una verifica di matematica e non avevo avuto tempo di studiare a sufficienza perché avevo partecipato ad un incontro in focolare, ma ero sicura di avere fatto la Volontà di Dio. Ho ripassato la lezione di matematica per un’ora e ho scelto due problemi da risolvere, poi sono andata a letto. L’indomani, la professoressa ci ha dettato il problema del compito in classe. Qual è stata la mia sorpresa nel constatare che si trattava proprio di uno dei due problemi che avevo risolto la sera prima! Ho avuto il voto più alto senza difficoltà.

Questa era la versione per le scuole superiori con lo scritto, poi c'era  quella per l'università sull'orale, con il professore che chiedeva alla gen esattamente le poche cose che era riuscita a studiare. Era "il centuplo", "la Provvidenza!" Ci si augurava che questo metodo funzionasse sempre, persino quando gli esami erano concorsi per ottenere posti di lavoro; cosa importava se, in questo modo, la Provvidenza mandava avanti persone impreparate? L'universo era animato da forze sovrannaturali, sprigionate dalla potenza di Gesù in mezzo, per cui la misera cultura umana non contava niente. 

Andare bene a scuola, però, poteva essere un ottimo sistema per attrarre le anime perse, offrendo loro un aiuto. In un'altra esperienza, una gen sta scrivendo una relazione:

Ad un tratto sentii bussare alla porta e mi precipitai ad aprire. Era una mia compagna che mi supplicava di aiutarla a svolgere quel tema. Alla sua richiesta rimasi un po' indecisa (...) A questo punto mi risuonò nell'anima il Vangelo. Subito pensai di consegnare il mio tema a quella mia amica ma- pensai- come avrei fatto poi a svolgerlo di nuovo? La risposta la sentii dentro di me: qualunque cosa fate al più piccolo uomo la fate a me. Quindi il mio tema l'avrei dato a Gesù presente nella mia compagna: non esitai e con un sorriso consegnai il tema alla mia compagna che se ne andò felice. Io ricominciai a svolgere il tema e in mezz'ora lo terminai. 
Passarono diversi giorni e non mi ricordavo neanche più di questo tema, quando un giorno venni chiamata in presidenza. Ero molto agitata perché non potevo immaginare il motivo di quella chiamata. Non ci crederete, ma la preside si congratulò con me per il bel tema svolto. (Viviamo così, a cura di Chiaretta Grillo,  Città Nuova) 

Insomma, Gesù, con la sua generosa promessa "L'avete fatto a me", si è ritrovato coinvolto in una serie di truffe ed imbrogli tra le mura di scuola. Chiara diceva che bisognava farsi uno con i compagni "in tutto, ma non nel peccato", però il peccato si concentrava sull'andare in discoteca, fumare "sigarette drogate" (sic) e i soliti attentati alla purezza; la correttezza e l'onestà nello studio non erano contemplate. La compagna voleva solo dei consigli, ma la gen ha pensato che metterle  in mano il tema già pronto fosse un atto d'amore più grande, perché le risparmiava la fatica di spremersi le meningi e di formulare da sola le proprie idee. Le sigarette drogate erano la scusa perché i gen rifiutassero gli inviti degli amici, e se ne rimanessero il più possibile tra di loro, mentre non c'erano problemi se erano loro stessi ad "adescare" i compagni, lasciando copiare i compiti ed offrendo altri utili servigi. Qualche gen arrivava a teorizzare che farsi maltrattare dai bulli, che pretendevano di avere i compiti svolti, fosse un modo di "amare il nemico" e di "porgere l'altra guancia". Tanto, poi, i bad boys restavano folgorati sulla via di Damasco e decidevano di partecipare anche loro alla vita gen... Di mettersi a studiare no, o comunque le esperienze non lo dicevano.  

In ogni caso, quando parliamo di diritto allo studio, la responsabilità non va attribuita agli assistenti gen o ai curatori dei giornali, ma alle famiglie. Ho sentito tanti miei amici lamentarsi di come i genitori li abbiano motivati poco nelle ambizioni scolastiche, se non addirittura scoraggiati: davano anche loro il continuo messaggio che lo studio era una pratica da sbrigare nel modo più veloce possibile, perché Dio (ovvero il Movimento) era nettamente "al primo posto". Per quanto riguarda la scelta delle scuole superiori, potevano invitare i figli ad iscriversi nel posto più vicino a casa, perché tanto un istituto valeva l'altro. Quando veniva il momento della scelta più importante, la facoltà universitaria, non era infrequente che il gen si ritrovasse indeciso fino all'ultimo, non avendo avuto nemmeno il tempo materiale di pensare troppo a se stesso; i genitori proponevano allora di entrare in una chiesa vuota e "chiedere a Gesù", o di aprire più o meno a caso il Vangelo.  Ritenevano un'ottima idea indirizzarli alle persone "autorevoli" del Movimento; se si trattava dei focolarini,  finivano naturalmente per invitare il giovane ad iscriversi in qualche posto strategico per le esigenze del Movimento, oppure le scelte potevano essere dettate da "voci interiori", sentite durante i convegni. Guardandosi indietro, molte persone oggi si chiedono: avrei potuto pianificare meglio i miei anni di formazione, fare scelte più oculate, studiare con più cura?

In alcuni casi si poteva arrivare anche alla deprivazione: normalmente una famiglia focolarina spendeva grandi quantità di denaro per libri, convegni, attività del Movimento, quindi non ne rimanevano per espandere l'orizzonte proprio e dei figli con attività culturali e ludiche. "Mamma, papà, mi servono i soldi per andare al Congresso gen"; "Mamma, papà, mi dareste i soldi per andare alla settimana bianca della nostra scuola?" Secondo voi, mediamente, a cosa rispondevano più volentieri? E magari, a coronare il tutto, il genitore leggeva qualche frase di Chiara Lubich sullo stile: 

"Ma vede, monsignore, cosa sono tutte queste bellezze di Roma? Cosa sono tutti questi monumenti, tutte queste opere d'arte, questi mausolei? Niente di fronte a Gesù in mezzo." 

E si sentiva rinfrancato a proseguire sulla via dell'ignoranza, continuando ad andare su e giù per i Castelli Romani e a conoscere, della città di Roma, solamente Piazza San Pietro con Via della Conciliazione, dove il papa chiamava a rapporto. 

Ciò nonostante, i genitori focolarini fecero un miracolo: continuarono a mandare i figli a scuola, magari non sempre seguendoli assiduamente, però pretendendo  che riportassero dei buoni voti, pur in mezzo a tutti quegli incontri. E così, il livello medio d'istruzione nel Movimento si alzò, con una ripercussione positiva. Le persone divennero meno manipolabili, e forse è anche questo il motivo per cui le grandi defezioni e i tentativi di riforma nel Movimento risalgono al periodo degli anni Duemila. Erano entrati nei focolari individui mediamente più critici, mandando in crisi gli elementari sistemi di controllo mentale che, fino ad allora, erano stati più che sufficienti. Quello che mancava, però, erano le prassi concrete, che i focolarini 'dissidenti' non riuscivano ad imporre alla vecchia guardia del Movimento. 

Dopo l'EdC: quando Chiara lanciò l'Economia di Comunione, i generosi gen iniziarono  ad offrirsi di scrivere tesi di laurea sul progetto. Lei, come la classica nonna un po' troppo invadente, fu orgogliosa di avere generato dei nipoti ben istruiti, ma pensò bene di orientarli a fare di se stessa l'oggetto dei loro studi. E così lo studio fu finalmente sdoganato nel Movimento dei Focolari, con l'apertura delle cosiddette "inondazioni": in ogni campo del sapere c'erano gen che si cimentavano ad introdurre il pensiero di Chiara Lubich, ed ora la Legenda Aurea delle esperienze conteneva docenti relatori "conquistati", università pronte ad elargire Lauree Honoris Causa a Chiara Lubich stessa, riviste specialistiche di alto profilo intellettuale, convegni su ogni campo dello scibile umano... E, naturalmente, oltre ai miracoli ci furono gli aneddoti di varia umanità: conosco gente che sostiene di essersi iscritta ad Economia perché girava voce che ce ne fosse bisogno "per realizzare il progetto di Chiara" e quindi, in sostanza, perché lo facevano tutti;  le tesi di EdC finivano pubblicate in una bella rivista con la foto dei giovani laureati, e scatenavano la conseguente invidia; qualcuno malignava che tutte quelle tesi erano piene di fuffa teorica, mentre nessuno era in grado di fare serio lavoro di impresa; ci fu poi chi fu invitato a presenziare nientemeno che ai lavori della Scuola Abba... Insomma, continuavano i soliti fenomeni imitativi e scarsamente mistici, ma c'è da dire che tanti hanno trovato la loro strada, magari lasciando un po' da parte il Movimento, in età matura, ed inserendosi nel mondo del lavoro.

Studiare non nella prima facoltà a caso, ma seguendo le proprie inclinazioni, ha portato i gen a spostarsi autonomamente, e ad allentare il controllo oppressivo dei focolari. Nelle grandi città, sedi di poli universitari, si presentavano ogni anno dei gen provenienti da tutte le parti d'Italia e del mondo, chiedendo di partecipare agli incontri e, possibilmente, di condividere con altri una "casetta". E così i focolari si ritrovavano ad includere in continuazione nuovi arrivati, senza avere più la possibilità di stabilire chi fosse "degno" di stare nelle fila dei gen, come tendevano a fare tra noi del posto. Non si poteva mica rimandare a casa lo studente in Erasmus! E magari c'era il gen che non aveva bisogno della casetta, perché aveva ottenuto l'alloggio universitario, e non vedeva l'ora che andassimo a fare l'incontro da lui, per presentarci i suoi sciamannati compagni di stanza. Accogliere persone venute da fuori era per noi un'esperienza interessante, spesso scoprivamo che non solo tra paesi, ma anche tra zone dei Focolari avevamo usi e costumi diversi. Nel mio caso, non posso rivelare dove vivevo, ma avrete già capito che dalle mie parti il Movimento era ben "strutturato", per i gen provenienti da realtà più piccole era uno shock  non da poco ritrovarsi in mezzo agli estremismi che stiamo raccontando. Ma noi cercavamo di tirarli su di morale; erano gli incontri più sinceri, le esperienze di internazionalità vere, molto più dei ritrovi "artificiali" che si creavano nelle  cittadelle come Loppiano. 

E a proposito di cittadelle: le ultime generazioni di gen che ho conosciuto sapevano sfruttare molto bene l'internazionalità del Movimento, molto più di quanto sapevamo fare noi. Quando scoprivano che i genitori li avrebbero mandati volentieri in qualche cittadella di là dell'Oceano, con la speranza che facessero "un'esperienza radicale", ne approfittavano per spostarsi dalla cittadella, imparare la lingua del posto, trovare lavoro o completare gli studi, per poi magari trasferirsi in un altro paese, e in un altro ancora. E così sono diventati dei cittadini del mondo, in modo un po' opportunistico ma, per lo meno, reale. 

Concludo dicendo che studiare è sempre un'esperienza di liberazione. Non è vero, professore? 


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