Preti sposati? Sì, ma...

 

 

Amare non è stare insieme a una donna,
ci vuol più, molto di più...
(Gianni Morandi, Se perdo anche te)
  

Due giovani preti si tolgono la vita, a poca distanza l'uno dall'altro, e sembra aprirsi un timido dibattito all'interno della Chiesa. Naturalmente introdotto dalle frasi canoniche "Rimaniamo in silenzio di fronte al mistero insondabile" e "Solamente Dio può scrutare nei cuori": vale a dire che, in realtà, tutti stanno giudicando, eccome, i due, che di fatto hanno commesso un atto "politico" e di grandissima rottura del sistema, hanno messo in grave difficoltà la Chiesa a livello di immagine e di credibilità. Con la scusa che meditare in silenzio fa sempre bene, speriamo di mettere tutto a tacere e che le acque si plachino, come al solito. 

Ma il dibattito, seppur già in fase di spegnimento, continua: che cosa vogliono per sé i preti del Ventunesimo secolo, come vedono la loro vocazione, quali sono le loro difficoltà? Qual è la causa del loro malessere? E' giusto lasciare a loro la discussione, quindi non mi addentrerò, non essendo un prete, nelle  questioni che stanno sollevando. Ma compare ben presto, nei discorsi, una questione che può riguardare da vicino anche me, e sulla quale mi sento di offrire un personale contributo. 

Il presbitero si sente solo soprattutto perché è costretto al celibato: non può vivere la propria sessualità, quando torna a casa la sera non trova nessuno ad accoglierlo. E allora apriamo, finalmente, ai preti sposati? In fondo in altre chiese la tradizione esiste da secoli, si sa che non si tratta di un dogma di fede, ma di una precisa scelta della Chiesa cattolica di rito romano, che potrebbe anche essere modificata.
Personalmente, non ci vedrei nulla di sbagliato, se non fosse per certe affermazioni che ho letto negli ultimi giorni. Sono figlia di due focolarini sposati: non è assolutamente la stessa cosa, ma si tratta comunque di persone che non sono semplicemente molto devote, ma che fanno una consacrazione, hanno preso un impegno davanti a Dio. Com'è la vita di persone così, quando formano una famiglia?
Certo, i focolarini sono dei selvaggi, dei dilettanti allo sbaraglio in confronto alla millenaria tradizione della Chiesa, che ai sacerdoti dedica un sacramento, quindi le cose sarebbero completamente diverse. Non dimentichiamoci, poi, che fare il prete è anche un mestiere (inutile storcere il naso), il prete dovrebbe già essere allenato ad un certo distacco tra l'attività per la propria parrocchia e la dimensione privata. Tra i focolarini, invece, questo non esiste, essendo protesi a vivere in perenne fusione tra loro e con Chiara Lubich.
Sicuramente, prima di introdurre il matrimonio nel sacerdozio, sarebbe bene confrontarsi con le esperienze dei pope ortodossi e dei pastori protestanti, per capire come vivono loro l'equilibrio tra ministero e famiglia. Ma è anche vero che, nella cultura cattolica, le pressioni e le aspettative intorno alla vita consacrata sono molto particolari, esistono situazioni che, probabilmente, non si trovano nelle altre chiese. 
E allora provo a dare degli spunti, delle suggestioni.

Tornare a casa alla sera
Se il sacerdote torna a casa alla sera, trova (o almeno trovava) la perpetua che gli ha preparato la cena. Legalizziamo il concubinato, che esiste dalla notte dei tempi? E' la soluzione ideale: la perpetua, o il perpetuo, soddisfa anche la componente sessuale e la vita prosegue tranquillamente, senza apportare alcuna modifica allo stile di vita del sacerdote. Ma è questo che vogliono i giovani presbiteri di oggi? 
Ai fedeli laici viene imposto il matrimonio, quindi anche i preti, per coerenza, dovrebbero sposarsi, ovvero andare incontro ad una realtà ben diversa. Una moglie non è un riempimento della solitudine, e ancor meno lo sono i figli, di cui vi parlerò più ampiamente in seguito. Una moglie è una persona con cui confrontarsi alla pari, in una relazione complessa, che richiede tempo, lavoro interiore, dialettica. Il sacerdote svolge una professione dove il contraddittorio è scarsissimo: quando sale all'ambone a fare l'omelia, ha di fronte a sé un uditorio che non può alzare la mano e replicare a quello che dice. Avrà le energie per mettere in conto, nella sua vita, di dedicarsi ad una seconda realtà, in cui le cose sono completamente diverse? 
Tornando a casa la sera, il sacerdote potrebbe trovare una moglie stanca, magari arrabbiata perché lui dedica troppo tempo alla parrocchia e lo sottrae alla famiglia, magari bisognosa di essere ascoltata, e lui se ne viene da ore in confessionale, non ne può più di ascoltare la gente. Magari (anzi, si spera) la moglie lavora anche lei, lo stipendio da sacerdote non basta a mantenere una famiglia, e allora gli dice "Potresti preparate tu la cena?"

L'obbedienza 

In questo campo i focolarini sposati sono dei dilettanti assoluti, non sanno nemmeno distinguere tra foro interno e foro esterno, quindi non vanno presi come riferimento. Ma l'obbedienza che un presbitero deve al suo vescovo è un problema cruciale, perché va ad impattare sulla vita della moglie e dei figli. Nel mondo focolarino abbiamo assistito alla formazione di triangoli: io, te e il focolare; quando ambedue nella coppia sono focolarini arriviamo anche al quadrilatero, perché lui segue la vita del focolare maschile, lei quella del focolare femminile. 
Voi direte che l'impegno della coppia sposata è molto più blando di quello dei vergini consacrati che abitano in focolare; è così, ma fino ad un certo punto. Basta leggere quali sono le premesse con cui Chiara Lubich ha fondato "il terzo ramo", come li chiamava all'inizio. 






Dato che è stato un sacerdote ad inguaiarci (questo sciagurato padre Tomasi, va detto, era parecchio anziano, come altri sacerdoti che la Lubich e Giordani sono riusciti a circuire) sarebbe una giusta nemesi che i preti, adesso, si sposassero e andassero incontro anche loro a questa roba. Altro che trovare nel matrimonio la compensazione per le angherie subite all'esterno: distacco totale da moglie e figli, Gesù che "separa i cuori".
Come la vive il vescovo? Benissimo, perché il distacco permette al sacerdote di obbedirgli; come la vivono gli altri membri della famiglia, è secondario, loro non sono coinvolti nella vocazione. Alla moglie, ai figli, il vescovo non può imporre nulla, ma di fatto le sue decisioni influiscono anche su di loro. E il prete deve fare da mediatore tra le due parti, se è una persona coscienziosa. 

E i figli

Quand'ero ragazza guardavo certe serie americane come "Settimo cielo", che parlavano di famiglie di sacerdoti protestanti. Inconsciamente mi incuriosivano perché trovavo una lontana affinità: com'è essere figli di un prete? 
Ovviamente andava a finire che i figli venivano cooptati, come la madre, e tutta la famiglia era al servizio della Chiesa. Oppure i figli diventavano ribelli, e allora ricevevano la giusta dose di attenzione, dopodiché venivano lasciati in pace, purché non rompessero troppo le scatole. E così è, di fatto, nella famiglia focolarina: se i figli non vogliono fare i gen, e contribuire al Movimento, possono starsene a casa a vivere da "normali", ma si creano inevitabilmente delle barriere invisibili tra loro e i super impegnati genitori. 
Le scelte religiose di un genitore impattano sempre nella vita del figlio, questo rientra nel diritto ad educare liberamente la propria progenie, sancito anche dalla Costituzione. Tra i Neocatecumenali esistono situazioni in cui le famiglie si radunano e fanno un'estrazione per mandare una "famiglia missionaria" a trasferirsi dall'altra parte del mondo; così, a caso, nell'improvvisazione più assoluta, e i figli devono seguire i genitori nell'avventura. Sicuramente i doveri di un sacerdote, trasferimenti compresi, sono molto più ponderati, ma esistono alcune dinamiche molto sottili, sulle quali mi vorrei soffermare.

Ora racconterò due fatterelli. Il primo è contenuto in un'intervista a Fatima Lucarini, figlia del focolarino sposato Spartaco Lucarini; abbiamo già parlato di lui qui 

"Sono stata anch'io bambina di mio padre innamorata": generalmente i figli dei focolarini nutrono una forte ammirazione per il loro padre, soprattutto le figlie femmine. E' buono, affettuoso, sorridente, inoltre percepiscono che è una persona importante, che fa cose straordinarie. Quando papà non è a casa sta dedicandosi ad altre persone, è come quei genitori chirurghi che rimangono in sala operatoria per ore, per salvare vite umane... Beh, in realtà no, cosa fanno esattamente i genitori focolarini quando sono fuori? Mmm... Andiamo avanti. Di sicuro fanno cose importanti, frequentano Chiara, che è una persona importante, molto più importante di te, bambina. 

Ma volevo soffermarmi su questo passaggio dell'intervista:

Era anche un uomo di preghiera. Un episodio che ricordo bene era quando in estate andavamo a Cortona dai nonni e la domenica eravamo presenti alla messa al Duomo delle 11.00. Lui restava assorto in preghiera, in ginocchio, dopo la conclusione della messa mentre lo aspettavamo fuori e io rientravo sempre in chiesa pregandolo di uscire, tirandogli anche la giacca. Un giorno mi ha detto: “Siediti vicino a me. Sai Fatima, io ti devo chiedere scusa ma quando parlo con Gesù, non mi accorgo del tempo che passa. È talmente così bello che non me ne rendo conto”. Da quel giorno non l’ho più chiamato, rispettando questo suo momento di preghiera.

Ho vissuto anch'io situazioni simili a quella descritta da Fatima, soprattutto quando ero troppo piccola per capire cosa facessero le persone a messa, impegnate in quella noiosissima cerimonia. 
Solo che io non sono brava come Fatima: a quell'età non sapevo farmi da parte, fare da genitrice al mio genitore e prendermi cura del suo bisogno spirituale. Io sarei andata fuori gelosissima di Gesù, che si prendeva tutta l'attenzione di mio padre, quell'attenzione che avrei voluto dedicasse a me. Poi me ne sarei dimenticata, avrei iniziato a saltellare su e giù per il piazzale della chiesa e a combinare guai, magari mi sarei sbucciata le ginocchia. Oppure, addirittura, avrei attraversato la strada e me ne sarei andata in giro, da sola, in mezzo alla folla degli sconosciuti. Meglio loro, a questo punto, di mio padre che vuol bene a Gesù e non a me. Sarebbe arrivata mia madre e, a messa finita, lo avrebbe riempito di improperi: "Ti avevo chiesto di badare alla bambina e tu la lasci così? Andare in giro, rompersi le ginocchia, cacciarsi nei pericoli?" Ed ecco che lui, il perfetto marito, il divino padre focolarino, avrebbe sfoggiato quel sorriso di superiorità, nella sua assoluta mitezza; avrebbe lasciato che la povera isterica si sfogasse, e poi le avrebbe ricordato: "Sai, io ho messo Dio al primo posto, quando parlo con Gesù non mi accorgo più di nulla, tutto scompare per me."
Che nervi!!!!!

Vorrei anche consigliare questa intervista a Bonizza Giordani, figlia del famoso Igino nonché Foco, di cui parliamo spesso. Il passaggio più interessante è quello in cui lei e i fratelli, ormai adulti, all'indomani della morte della madre scoprono che il padre non vuole rimanere a vivere con loro, ma trasferirsi a Rocca di Papa, sede del Movimento. Il focolarino sposato, quando rimane vedovo, può scegliere di trasferirsi in focolare e vivere da single consacrato. Bonizza, che fino a quel momento ha avuto un tono entusiasta nei confronti di Igino, ha un attimo di cedimento e le si incrina la voce:
"E' stata la scelta giusta, ha potuto continuare le sue ricerche, stare più vicino al suo movimento."

A quanto pare Igino, padre amoroso, non ha mai condiviso con i figli la realtà del suo impegno con i Focolari: la consacrazione a Dio, che interpretava in modo totalitario. Forse ha raccontato a Bonizza che si recava dalle focolarine per fare delle ricerche, essendo uno storico e uno scrittore di agiografie; insomma, le ha mentito. Una cosa del genere non sarebbe possibile per un prete, ma mi auguro che sia in grado di spiegare chiaramente ai figli tutto ciò che fa per vocazione, senza nascondere nulla.

Arrivati a questo punto, scommetto che i presbiteri che leggono hanno perso la voglia di sposarsi e generare altri esseri senzienti. Oppure no: sono ancora più determinati di prima, perché per fare meglio dei focolarini ci vuole davvero poco.
Ma voglio concludere con un'altra storia emblematica, quella che mi ha raccontato una simpatica Ragazza del Nordest; la chiameremo così.

Anche la Ragazza del Nordest ha un padre focolarino sposato, a cui vuole molto bene. E' oramai adulta e distante dal Movimento, ma ogni tanto torna dai suoi per fare loro visita. E le sembra di ritornare a quel tempo, quando Chiara Lubich regnava in ogni angolo della sua casa. 

Un giorno sono andata in soffitta per cercare dei vecchi libri dell'università. E, a sorpresa, ho trovato una dispensa fotocopiata di mio padre, che non c'entrava nulla con le mie cose. Ho capito subito che si trattava di una trascrizione di discorsi di Chiara Lubich, e la cosa mi ha stupito. Lui di solito è gelosissimo di quegli scritti, li tiene da parte con cura, e non li fa vedere a noi "profani", se riguardano la sua vita di popo sposato, con il focolare. 
Ero un po' curiosa, e mi sono messa a sfogliarla a caso: si trattava di una "Trascrizione da bobina". Quella parola meravigliosa! Nei Focolari penso che persino gli Mp3 siano catalogati come "bobine". A parlare erano Chiara, Oreste e Fede, ai Delegati dell'Opera e al Centro dell'Opera in zona. Il titolo della trascrizione è "Risposte di Chiara sul rinnovamento", 16 settembre 1996.

Insomma, un testo che, in teoria, nemmeno mio padre dovrebbe possedere, perché lui non era di certo invitato a quell'incontro. Se gliene hanno passato una copia, è perché lui è un vero focolarino, una persona importante... E ancora di meno dovrei leggerlo io, dato che, chiaramente, si tratta di questioni del "ramo maschile", a cui non apparterrei nemmeno se facessi ancora parte del Movimento. Stavo quasi per metterlo via, quando una foto, infilata tra le pagine, è scivolata a terra. L'ho raccolta e ho avuto i brividi: ero io in braccio a papà, a pochi anni di vita. Lui tutto sorridente, fiero della sua paternità, guardava in camera; ma perché mio padre doveva mettermi in mezzo così, tra le sue cose dei focolarini? Beh, era un segno, come direbbero loro, che quella dispensa mi riguardava in qualche modo.

Ed ecco che, tra le pagine aperte, trovo LO SPUTTANAMENTO.
Chiara Lubich, ad un certo punto, dice: 

Ora, com'è la vocazione del focolarino vergine?
Non c'è confronto con quella del focolarino sposato- e qui ci sono i focolarini sposati- anche se il focolarino sposato ha il diritto di stare nel focolare. Dirò che atteggiamento deve avere allora.
Non c'è confronto, perché un focolarino sposato... Ha la propria famiglia naturale a casa. Vedete, lui può essere staccatissimo, perché lo è magari, è un santerello e lo è, però va a casa e, volenti o no, trova del calore nella famiglia, della mamma che gli dice una parola, del fratello che lo capisce; trova un pasto caldo. Qualche volta un pasto tira su, perché siamo fatti di anima e corpo, ecco. Poi il focolarino sposato lavora e porta i soldi a casa, ha soddisfazione di dividerli con i figli, di darli alla moglie [Nel 1996 Chiara Lubich immagina ancora che le donne dipendano completamente dai mariti, e che preparino la cena perché sono casalinghe]. Voi, popi, non avete un centesimo, tutto quello che guadagnate lo portate a casa. Voi non trovate per niente una famiglia ad essere sorretti dal marito o dalla moglie, per niente: non avete né marito né moglie, non avete più mamma, non avete più niente. Voi dovete essere pronti anche a lasciare il lavoro che vi darebbe soddisfazione, perché bisogna lasciare anche i campi (...) E mentre il lavoro lavoro soddisfa, dà una grande soddisfazione (...) 

Mio padre è proprio uno di quelli staccatissimi, che ha fatto di tutto per essere all'altezza di Chiara, con notevoli ripercussioni nella nostra vita. Ha partecipato a centinaia di congressi in cui Chiara ha assicurato che la sua vocazione è tanto quanto quella dei popi "vergini", ha trascorso migliaia di ore in focolare, a condividere l'unità con quei popi, sottraendo tempo ed energie a noi figli e a nostra madre. E spesso ne abbiamo sofferto. E ora cosa legge? Che non c'è paragone, non appena Chiara si trova con i focolarini vergini li adula e li rassicura che loro sono superiori agli altri. I focolarini sposati, che in teoria sarebbero nati proprio perché Foco non si sentisse di "serie B", sono davvero di serie B e, quando vanno in focolare, devono mantenere un certo atteggiamento: stare attenti a come si comportano, per essere all'altezza della situazione. "Hanno il diritto di starci", altro che esserne protagonisti. 
Mi piace immaginare che papà, leggendo questa roba, si sia talmente infastidito da sentirsi un po' tradito da Chiara, e che abbia buttato la sua dispensa, senza custodirla come al solito. Così è finita in mano mia: ben ti sta, Lubich, è il karma. E mi sento legittimata a sputtanarti per via di quella foto, presente tra le pagine.


In conclusione, cari preti, se avete intenzione di sposarvi, avete capito cosa potrebbe accadere, se non si pone l'attenzione su determinate problematiche. Vi auguro di non avere un superiore come Chiara Lubich, e soprattutto di non avere dei figli come me e la ragazza del Nordest. Oppure rivalutiamo la famiglia Borgia, che secondo me abbiamo denigrato troppo: impariamo da loro a non pretendere di essere perfetti. 


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